Capitolo Secondo

Torture Rivelatrici

I

Il pranzo quel giorno indossò le vesti della letizia e della spensieratezza; tutti ridevano e scherzavano con gusto, come raramente era avvenuto di assistere. Evidentemente quel cupo prelato con il suo atteggiamento compito e serio aveva influito non poco su tutti i presenti. In particolar modo sulla signora Matthiau, che in presenza del reverendo viveva nel perdurante timore di dire qualcosa di sconveniente, e per siffatta ragione si richiudeva in un tacito rispetto.

Il pomeriggio di W. ebbe inizio nello stesso identico modo del giorno precedente: era indeciso sul da farsi. Kosynski si era trincerato nel suo studio, che d'altronde fungeva da stanza da letto, per cui non poteva rubargli un po' del suo tempo; Silvia era come scomparsa e W. non voleva correre il rischio di chiedere informazioni alla padrona di casa: quasi certamente lo avrebbe ingabbiato al suo posto, e costretto ad ascoltare le sue riflessioni di madre premurosa; né riceveva alcun piacere al pensiero di prendere in mano qualche libro di filosofia, anzi ne era quasi nauseato. " Non mi rimane che passeggiare per i campi " pensò. Il giorno prima non si sarebbe risolto in un evento spiacevole se non fosse stato per gli ultimi interminabili metri... Anzi, alla sera si sentiva addirittura rinfrancato.

Uscì di soppiatto, in modo tale che la padrona di casa non s'accorgesse della sua fuga. Poi, quando non vi era alcuna possibilità di essere scorto, rallentò il passo e diede inizio ufficialmente alla sua passeggiata. Nel corso di essa la sua mente poté vagare libera e indisturbata, anche perché protetta da uno spesso scudo: il rumore dei passi. Nulla poteva incuriosirlo o quantomeno distrarre. Il calpestio aveva annichilito ogni rumore esterno, e mancò poco che scomparissero; aveva costruito un ponte tra il reale, che circondava il corpo di W., e la sua mente, isola ricolma di serenità. Qui spesso incontrava dei pensieri; ma non si tratteneva per molto tempo con loro: in genere li salutava cortesemente e si limitava a rivolgere loro solo alcune domande di circostanza; poi riprendeva il suo cammino. Solo un pensiero lo bloccò in mezzo alla strada, lasciando crollare in un sol colpo il ponte con tanta cura costruito: " Mio Dio !" esclamò ad alta voce " E' più di una settimana che non vado in città. Chissà cosa penseranno i miei amici... Devo assolutamente incontrarli, tanto più che Philippe ha da pagarmi un debito di gioco... E' deciso. Stasera vado in città ". Svanito oramai lo scudo non gli rimase altro che ritornare al caseggiato per avvisare la signora Matthiau della sua decisione: il treno che lo avrebbe condotto in città partiva alle sette, gli era quindi impossibile cenare lì quella sera. La donna, com'era sua consuetudine, si mostrò dispiaciuta dell'iniziativa del giovane, e s'informò sull'ora in cui avrebbe fatto ritorno. La domanda, legittima e doverosa per una padrona di casa, era stata rivolta però con atteggiamento materno e preoccupato. W. ardeva dal desiderio di risponderle in malamodo; ma, con chiaro sforzo, si trattenne dal farlo e disse: " Dovrei essere di ritorno per le undici e trenta... "

" Di domani mattina ?" chiese la donna turbata.

" Ma no ! " esclamò seccato. " Torno stasera alle ventitré e trenta ! ".

II

Il restante pomeriggio si risolse nell'attesa spazientita della serata: si era preparato molto tempo prima del dovuto, per cui fu costretto ad attendere nel caseggiato per un'ora abbondante, impegnato solo ad osservare le lancette dell'orologio che non ne volevano saperne di muoversi più velocemente. Finalmente, quando oramai era sull'orlo di una crisi, giunsero le fatidiche diciotto e trenta, orario prestabilito per la partenza dal caseggiato. Appena la lancetta dei secondi oltrepassò il suo capo di boa W. s'alzò e fuggì via in direzione dell'agognata stazione.

L'edificio della stazione era molto piccolo e nell'insieme fatiscente: l'unica sala d'aspetto era riempita da due scomode panche in legno bruno, poste l'una di spalle all'altra ed al centro della stanza. Le pareti incrostate svelavano in qualche tratto le vecchie colorazioni assunte negli anni precedenti. Preferivano dipingerle piuttosto che ripulirle dagli infiniti messaggi lasciati lì in memoria di un passaggio.

Dopo essersi rifornito del biglietto si diresse verso la sala d'aspetto; ma vedendone la misere condizioni preferì attendere dinanzi ai binari. Non vi era anima viva nella stazione; oltre lui c'era solo l'uomo della biglietteria. Questi sonnecchiava su di una sedia, in equilibrio precario su due gambe, con le braccia a penzoloni ed un cappello che gli ricopriva per intero il viso.

Le nuvole rossastre, ricoprendo tutta quanta la volta celeste, avevano anticipato l'ora crepuscolare; e si erano lasciate accompagnare da un languido venticello che fece sorgere in W. una dolce sonnolenza. Socchiuse gli occhi, e dalla stretta fessura delle palpebre osservò le rutilanti nubi che lo sovrastavano. Ben presto fu con loro, a migliaia di chilometri dal terreno. Volteggiava libero e fresco tra di esse, e con animo lieto le accompagnava nel loro infinito moto per regioni e regioni. Mai si sarebbe slegato da loro, le candide e buone nubi. Come ovvio le sue erano solo impressioni; ma le adorava nell'intimo, perché eteree, e perché miste di un'accennata malinconia e di un vago sentore di tranquillità...

L'atmosfera onirica creatasi fu crudemente interrotta dallo scampanellio che comunicava l'arrivo del treno. Entrambi, sia W. che il ferroviere sobbalzarono al penetrante suono che senza alcun riguardo li aveva destati. Ambedue fissarono dapprima la campanella e subito dopo si osservarono vicendevolmente. Nessuno dei due fiatò; ma ciò non fu necessario: lessero a chiare lettere l'uno il pensiero dell'altro, e si ritrovarono d'accordo su ogni questione e imprecazione.

Il treno, sbuffante nere nuvole di fumo, giunse in un fragore detestabile all'udito del giovane. Da esso discese solo un uomo dall'aspetto ridicolo che in altre condizioni avrebbe suscitato l'ilarità di W. : su di un pastrano verde, assolutamente inadatto alla stagione, indossava un cappello che definir sgargiante era dir poco. La peculiarità del copricapo risiedeva nel suo terminare a punta, inerpicandosi quasi sulla testa del tizio.

Nei vagoni, anch'essi deserti quasi quanto la stazione, il giovane ricercò un posto isolato e possibilmente al buio. Ne occupò uno che soddisfava solo in parte le sue aspettative: nello scompartimento oltre lui era presente un'altra persona, che al suo ingresso non aveva potuto scorgere, dato che i suoi occhi erano ancora abituati alla luce esterna.

Non sapeva se fosse un uomo o una donna; né era in grado di giudicare se fosse giovane o vecchio. Era solo una vaga figura nera che respirava in modo leggermente affannoso.

III

Quando il treno assunse un'andatura costante la figura nera si rivolse a W. chiedendo:" Va a (***) ? "

" Sì... " rispose W. , sperando che l'uomo non riprendesse a parlare: non aveva alcuna voglia di trascinarsi in una conversazione infettata dal morbo della banalità e della noia. Tuttavia ben presto fu costretto a modificare le sue opinioni.

" Sicuramente ci sarà una fresca ragazza che la attende ?"

" A dir il vero " replicò W. abbastanza infastidito da quell'ingerenza " Vado a far visita a degli amici. "

" Bella la vostra età ! " esclamò l'altro. " Così spensierata, priva di confronti e di veri problemi... Sempre pronti a tutto ! A conquistare il mondo, a sottometterlo con la forza solo della vostra persona... ".

W. non replicò, anche se la pensava in modo completamente differente, e si sprofondò ancor di più nella poltrona, speranzoso che l'altro tizio non riprendesse a parlare. Ma ancora una volta le sue speranze non trovarono conforto: " Le dispiace se parlo un po' ?... Preferisco dialogare e non riflettere; pensare ha degli strani effetti su di me."

"Ma certo, non mi dà alcun fastidio" ribatté il giovane, ancora troppo sonnolente per poter imporre il proprio volere.

"Sono stato ricoverato in una casa di cura per malattie mentali. La diagnosi parlava di turbe schizofreniche derivanti da forti manie di persecuzioni ". Queste parole, ma innanzi tutto il modo con il quale erano state pronunciate, destarono W. dal suo torpore: le aveva espresse freddamente e senza vergogna; era più simile ad un medico che parlasse di un suo paziente e non al malato stesso.

" Ah... davvero " rispose con aria sommessa il giovane.

" Non si preoccupi " s'affrettò a chiarire l'altro. " Non sono fuggito quando ero ancora in cura. Ho un attestato che garantisce la mia guarigione, ammesso che questo la possa interessare o quantomeno rassicurare ". Si spostò leggermente, facendo stridere le sconnesse poltroncine, e riprese dicendo: "Ero convinto che tutti tramassero contro di me in quei giorni... in genere iniziano così i racconti come i miei... " rise, seppur debolmente, e soggiunse:

"Ero giunto a Vienna in un piovoso giorno di Febbraio ed avevo trovato alloggio in una piccola pensione, situata in una di quelle caratteristiche viuzze viennesi, ammesso che lo siano.

Già al primo impatto ebbi una brutta impressione del luogo : chiesi infatti una stanza che s'affacciasse sulla strada e la donna che era all'accettazione mi rispose seccamente e con voce acidula: " Non ce ne sono. Se ne vuole una è sul retro, altrimenti può anche sloggiare ! Cosa crede di essere ad un grand hotel forse !?". Non so perché ma mi convinsi che tutto dipendesse dal mio aspetto ridicolo. Ero esausto, affaticato dal lungo viaggio... in più il giorno seguente dovevo presentarmi ad un colloquio di lavoro, per cui senza discutere ulteriormente accettai quella misera stanzuccia. Rammento ancora quel buco dove dormì in quei giorni: vi era un letto arrugginito con un materasso deforme e scomodo, che cigolava ad ogni mio minimo movimento. C'era anche un armadio: immenso ed assolutamente inutile; non aveva cassetti e la roba bisognava sistemarla sul fondo, dove il legno era marcio e pieno di termiti. Ne ricordo in particolar modo i battenti, che come due sadici torturatori avevano l'abitudine di aprirsi da soli, ed ogni volta emettevano degli stridii lancinanti che mi perforavano i timpani. Tutto cigolava, strideva, scricchiolava in quel buco grigio ! Anche i rubinetti !...

La prima notte la trascorsi senza chiudere occhio per un solo istante, nonostante fossi realmente distrutto... Pensi, era angosciato dalla possibilità che qualcuno entrasse dalla finestra e mi pugnalasse. Anzi ne ero proprio convinto...

Comunque, come le dicevo, dopo una notte insonne mi recai in quello che doveva essere dal giorno seguente il mio luogo di lavoro. Dovevo essere felice! Avevo ottenuto il tanto agognato impiego di lavoro ! Eppure il solo pensiero di ritornare in quel letamaio mi angosciava nel profondo. Mi dissi: " Appena ritorni, fai le valigie e sparisci. Se la tenessero pure la caparra ! Lì, non ci resto un attimo di più". Ma quando rientrai alla sera ebbi la sensazione che mi stessero aspettando. All'accettazione oltre all'odiosa donna del giorno prima c'era un uomo che mi aggredì appena oltrepassai la soglia:" Sei tu quindi quello nuovo !" mi urlò contro con l'indice puntato sul petto. " Sentimi bene quattr'occhi, se fai di nuovo baccano la sera vengo su e t'ammazzo ". Io fui solo in grado di accennare: "Ma non è colp... ". " E di chi allora? del letto ? " mi disse spingendomi all'indietro e facendomi cadere. Subito dopo se ne andò lasciandomi per terra, al che si avvicinò la donna e mi urlò contro: " Fallito !! Ha fatto proprio bene ad insultarti. Ti meriti solo questo ".

Scoppiò in una sonora risata il cui vigore fece tremare lo scompartimento. Poi accese una sigaretta e continuò con la sua voce stentorea: "Certo ora lei potrebbe dirmi: ma perché non s'è difeso ? Che colpa poteva avere lei? In realtà era dipeso da quel letto arrugginito!... Facile a dirsi, ma impensabile per me riuscirci in quella pensione. Appena ne varcavo la porta d'ingresso non ero più io; in me avveniva una metamorfosi così profonda che ancor oggi a stento riesco a riconoscere me stesso in quel tizio. Non riuscivo a parlare, balbettavo solo; mi si appannavano gli occhiali, a causa del sudore; i miei movimenti erano incerti e goffi, dato che le mani non smettevano mai di tremare. Ma ciò che più mi terrorizzò, e che ancor oggi mi fa rabbrividire, fu la convinzione di essere divenuto il personaggio di un racconto che da poco avevo terminato di leggere, in cui il protagonista era torturato per aver interrotto il sonno della gente. E così, suggestionato al massimo grado sorse in me la fobia di creare anche il più insignificante suono... Le scale, la porta, l'armadio, il letto; ogni maledettissima cosa faceva rumore.

Le mie angosce crebbero, s'intensificarono, e mi abbandonai in loro balia il giorno in cui ritrovai nel racconto le parole : "...vengo su e t'ammazzo !". La mia mente malata mi condusse a tramutare quell'opuscoletto in un oggetto di culto. Lo riposi nell'armadio e costruì una sorta di altarino, sul quale disponevo ceri, profumi, incenso. Come ovvio tutto ciò non migliorava affatto la mia condizione; anzi s'aggravava ogni giorno di più: nella mia camera non camminavo più, bensì strisciavo; né tantomeno mi lavavo, il timore di creare il più piccolo suono era più forte del prurito. Accorgimenti questi che non valsero a nulla: fui nuovamente sgridato e insultato da tutti i coinquilini. Mi ripetevo di continuo: "Non puoi rimanere qui. Devi andare via... devi fuggire !" Ma ogni qualvolta mi ritrovavo dinanzi al padrone di casa mi bloccavo; la lingua si contorceva su se stessa, ottenendo come unico risultato gli insulti dell'uomo, che mi beffeggiava dicendo : " Cosa c'è... s'è inghiottito la lingua forse ? Vai via ! La tua presenza mi disturba".

Il male si aggravò ancora, pare incredibile ma avvenne : vivevo tutta quanta la giornata pensando con orrore e angoscia al mio ritorno nella prigione di torture. Anche sul lavoro non era più lo stesso: allontanavo da me chiunque si avvicinasse, certo che avessero delle spie anche nel mio ufficio. La notte la trascorrevo quasi senza chiuder occhio; fermo nel mio letto, e attento a non compiere il minimo gesto. Alcune notti invece le trascorrevo addirittura fuori della pensione, rintanato sotto qualche scrivania del mio ufficio, al freddo e con i crampi della fame che mi divoravano lo stomaco. Nonostante tutto le ricordo ancora con affetto quelle ore, di certo erano le migliori. Nel buio dell'ufficio mi dicevo: "Sono proprio curioso di vedere se domani avranno il coraggio di accusarmi ? Le altre volte può' essere successo per puro caso; ma ora no, è impossibile ". Ma incredibilmente, quando rientravo alla sera venivo nuovamente aggredito e accusato di aver creato un baccano infernale.

Ero sbigottito, non riuscivo a comprendere come, quando, il perché della situazione. Oramai tutti e tutto si era trasformato in un immenso e macchinoso piano che aveva un sol fine : torturarmi... e perché no, anche uccidermi.

La mia salvezza è stata la polmonite. Una mattina di metà Marzo fui ritrovato per terra accanto ad una panchina, quasi assiderato e privo di sensi: la sera prima infatti ero stato scovato all'interno degli uffici, e di conseguenza sbattuto fuori senza molte cortesie. Quando fui fuori non mi rimase altro che sedermi sulla prima panchina che incontrai. Oggi ringrazio ancora coloro che non ebbero la bontà d'animo di lasciarmi all'interno degli uffici. Grazie al loro cinico servilismo oggi sono vivo...

Per dirla in breve, fui ricoverato dapprima presso un ospedale, ed in seguito, quand'ebbero accertato la mia infermità mentale, in una casa di cura specializzata".

Frattanto il treno avevano incominciato a rallentare: s'apprestava ad una stazione precedente a quella cui era diretto W.

" Grazie per esserti prestato alle confessioni di un mentecatto. Soprattutto sono felice di non averti visto in faccia; il buio è stata la maschera dietro cui mi sono riparato... Ora scusami, questa è la mia fermata".

Detto questo si alzò e si avviò all'uscita dello scompartimento; e quando fu a pochi centimetri da W. , questi, che sino ad allora era rimasto in completo silenzio, disse : " In quella pensione non era lei l'unico pazzo "

" Che vuole che le dica, a me interessa esserne uscito vivo".

Il treno era fermo. L'uomo salutò cortesemente e uscì senza far alcun rumore: i suoi passi, lungo il corridoio del vagone, erano talmente soffici e vellutati da poter essere avvertiti solo da chi sapeva che stesse passando qualcuno.

La stazioncina era ben illuminata, e W. avrebbe potuto, se avesse voluto, osservare l'uomo senza essere scorto; tuttavia si trattenne dal farlo: " Solo un vile e un traditore lo farebbe ! " si disse. Volse quindi il capo dalla parte opposta, attendendo che il treno riprendesse il suo corso, cosa che avvenne quasi subito.

IV

Il sopore iniziale, nel quale si era beatamente immerso, era stato scalciato con sfrontatezza dal racconto dell'uomo : " E se fosse accaduto a me ? " si chiedeva impaurito " Sicuramente sarei morto, o quantomeno sarei diventato pazzo... Come è possibile che avvengano cose di questo genere ?... Forse recitava ? Forse ha detto quelle cose per ridere alle mie spalle ?... Sì. E' così, ne sono certo...". In realtà non era poi così sicuro di sé. Non trascorse qualche minuto che già ci ripensò: " Però, riflettendoci, non si può fare a meno di cogliere la sincerità in quelle parole... La sofferenza, l'odio, la paura che sprigionavano non potevano essere frutto di un messa in scena, anche se fosse stata preparata con cura".

Nel frattempo il treno era giunto a destinazione e W. , assorto nei suoi confusi pensieri, non se ne avvide. Solo l'avviso di un ferroviere lo riportò in terra. Corse per il corridoio, temendo che il treno ripartisse, e quando fu giù il languido venticello che lo aveva ammaliato alla stazione del paesino lo catturò ancora un volta, e spazzò via tutti i tetri pensieri che ne affollavano la mente.

Come era sua consuetudine quando andava in città, appena fu uscito dalla stazione imboccò rue d'Allemande, e dopo aver percorso alcune centinaia di metri svoltò a destra, dove s'apriva una piccola piazzola. Qui si diresse verso l'unico Caffè, disposto dalla parte opposta da cui lui era giunto, e si accomodò ad uno dei tavolinetti all'aperto. Poco dopo giunse un altissimo cameriere al quale W. ordinò un bicchiere di Frascati: adorava i vini italiani e in particolar modo questo, per il suo gusto asciutto ed armonico. Si mise quindi in attesa oltre che del vino, anche dei suoi amici: questi infatti avevano preso il Caffè come ritrovo cittadino alla sera. Lì si incontravano generalmente verso le otto, e se qualcuno non fosse arrivato entro una mezz'ora si avviavano verso il luogo che sarebbe stato lo scenario della loro serata.

A qualche tavolino distante era seduta una giovane donna, disposta a tre quarti e in modo tale da poter volgere lo sguardo verso il giovane, senza tuttavia esserne costretta. Indossava un gonna lunga, dal tessuto prezioso e delicato; aderente ai fianchi, tale da renderli morbidi, e s'allargava verso il basso dove diveniva più lunga dietro. Sopra, la camicetta di morbida seta s'adagiava dolcemente sul suo petto, facendo risaltare la bella curva del seno. La donna guardava W. sempre di sfuggita, almeno in apparenza; ma quei piccoli sguardi maliziosi e intriganti erano molto più eloquenti di qualsiasi parola. W. era un giovane di bell'aspetto; sicuramente la sua non era una bellezza contraddistinta da tratti morbidi e plastici, al contrario il suo volto era piuttosto irregolare. Tuttavia aveva un suo fascino, strano da definirsi e da comprendere; misterioso potrebbe asserire qualcun altro. Fatto sta fu proprio questo carattere di ambiguità ad attrarre la giovane donna.

W. percepì i messaggi inviategli, e già era in procinto di alzarsi per andare a sedersi al tavolino della donna; ma da dietro giunse e lo oltrepassò un uomo che si sedette proprio dov'era la donna, disponendosi di spalle. W. fu un po' sorpreso, e la donna, sporgendo il capo da dietro l'uomo, lo guardò e gli comunicò in modo eloquente : "Sarà per un'altra volta ".

La coppia ben presto si alzò e si avviò dalla parte opposta a dove era W. , ed anche in questa occasione la donna si voltò, regalandogli un sorriso che le illuminò il volto di nuova brillantezza. Il rammarico per l'opportunità mancata si stampò indelebile sul suo volto e fu colto da Jean: un suo amico che lo trovò in questo stato qualche minuto dopo. Il nuovo arrivato era un anno più giovane di lui; indossava sempre un cappello di feltro, unico modo per celare una calvizie prematura. W. non lo considerava un amico fidato, era troppo impegnato a piacere agli altri per poter realmente prestare ascolto a quanto gli si dicesse; una discussione, o quantomeno un dialogo con Jean era assolutamente iniquo e privo di un qualche interesse. Non parlava bensì blaterava di continuo. Si limitava in ogni caso ad accettare l'opinione altrui: una sera parlava di libertà sessuale dinanzi a un suo amico, e il giorno dopo sconfessava tutto con un moralista, dal quale, del resto, non poteva essere intimorito.

"Sono parecchi giorni che non ti si vede ? Ti eri dato alla macchia ?"

"No. Avevo alcune faccende da sbrigare "

"Queste faccende portavano una gonnellina per caso ?" disse qualcuno da dietro. W. si voltò con il solo busto e si ritrovò dinanzi ai propri occhi altri tre suoi amici.

"Perché non ce la presenti ? "continuò l'amico di prima " Hai forse paura che te la rubiamo ? Guarda che non le raccontiamo cose scabrose su di te "

"In primo luogo non ho nessuno da farvi conoscere. E per seconda cosa ho seri dubbi sulle vostre angeliche intenzioni "

"Ci consideri così infidi e maligni ? "

"Non che vi considero tali, semplicemente lo siete ! " replicò W.

Dopo che i cinque furono seduti al tavolino ordinarono qualcosa da bere, e ad essi si aggiunse volentieri lo stesso W. , il cui bicchiere di Frascati era già da tempo vuoto. Terminato di bere scambiarono ancora qualche parola; dopo si alzarono e si avviarono senza aver preso alcuna decisione su come trascorrere la serata. La direzione assunta era opposta a quella della giovane donna di poco prima, evenienza questa che dispiacque a W. : nel suo intimo sperava di incontrarla ancora quella stessa sera. Auspicio vano fu il suo, né tantomeno poteva confidare sulla possibilità di rivederla nei locali dove si cacciarono. Chiunque ne oltrepassava la soglia poteva avere solo due fini: o riempirsi di alcool sino a esplodere, oppure acconsentire alle cure di donne di mestiere. I ragazzi, che odiavano le limitazioni, si concessero ad entrambe le possibilità; solo W. preferì dirigersi esclusivamente sulla seconda.

V

Mentre il giovane seguiva una giovane donna verso le stanze, situate nella parte posteriore dell'osteria, poté osservare con attenzione ciò che avveniva in una di quelle: la porta difatti pur non essendo completamente aperta, permetteva a W. di guardare all'interno. Vide un giovane che all'incirca doveva essere della sua stessa età; completamente nudo, con il capo chino, e inginocchiato davanti ad un divano. La sua pelle era vellutata e di un bianco candore vergineo. Alle sue spalle una donna, anche lei nuda, e con una frusta in mano. La donna prima si avvicinava al ragazzo, strusciando il pube sulla sua spalla, poi si scostava leggermente e infliggeva dei duri colpi con la frusta. La pelle rosea delle spalle fu attraversata da dei rivoli fini di sangue, tale era stato il vigore con il quale erano state inferte le percosse. La donna lo insultava anche, urlandogli in tono rabbioso: "Bastardo ! Ecco cosa sei, un grandissimo bastardo !" e lui inarcando le spalle ad ogni colpo subito, rispondeva in tono umile:" Sì, fa bene, è questa la giusta punizione per i miei pensieri depravati... ".

La giovane donna con cui era, lo tirò via di lì e lo trascinò per mano nella stanza accanto. Questa aveva l'aspetto tipico di quel genere di camere: alcuni dipinti di cattivo gusto alle pareti, che lasciavano poco spazio all'immaginazione; un letto grande e disfatto con quattro o cinque cuscini sopra; e un divanetto, simile a quello della sua casa natia, sul cui erano riposti degli indumenti di lingerie in seta.

Le urla della donna e i lamenti del ragazzo si avvertivano chiaramente anche di lì; e W. poté ascoltarli indisturbato, dato che la ragazza che lo accompagnava era uscita dalla stanza. Uscendo aveva assicurato W. che avrebbe fatto ritorno nel corso di pochi minuti; ma il giovane non gli aveva prestato molta attenzione, la sua mente era avvinghiata dalle voci della stanza accanto. Quando dalla parte opposta della parete tutto cessò, W. ripiombò di colpo nella stanza. Il suo sguardo gironzolò un po' intorno sino a che non cadde sul divanetto. A questa vista, ricordo di un passato caro e tenero, sorse in lui il desiderio impellente di uscire, di fuggire dalla stanze. Lo percepiva come un intimo bisogno, al quale non poteva opporsi. Si trattenne per qualche minuto, ma non c'era verso di placare l'impulso di cui era vittima, non vi era possibilità alcuna che rimanesse in attesa della ragazza. Afferrò la giacca, che aveva tolto in precedenza, ed uscì in fretta e furia. Percorse il corridoio, il locale dell'osteria impregnato di fumo e infine giunse alla porta d'ingresso, che spalancò con furia. Scontrò anche una persona, che con aria indispettita e altezzosa lo aggredì dicendo: "Ma stia attento, per l'amor di Dio ! "

" Mi scusi..." bisbigliò W. senza neppure guardarlo in faccia.

" E' facile dire mi scusi. La gente come voi crede che bastino queste ipocriti paroline per risolvere ogni faccenda".

L'arroganza, il tono sprezzante, l'alterigia con cui erano state espresse queste parole condussero W. a squadrare per bene l'individuo: voleva replicare in modo adeguato alle insolenze di questi.

La lingua si bloccò; le corde vocali erano come paralizzate; e il mento ricadde lasciandolo a bocca aperta: l'impertinente, altezzoso individuo che aveva di fronte era proprio il ragazzo fustigato di poco prima. Quel ragazzo che sino a qualche minuto prima provava piacere nell'essere frustato a sangue e nell'essere insultato come l'uomo più meschino; ora, all'aperto, era divenuto un rapace, un impudente snob.

" Che ha da guardare ? "

" Niente... " bisbigliò W.

Era in uno stato confusionario. In troppe, strane persone era incorso quella sera. La sua mente si disperdeva in tormentosi pensieri che si rincorrevano l'un l'altro. Le immagini del ragazzo fustigato si avvicendavano e si fondevano con quelle del pazzo furioso incontrato nel treno, creando un caleidoscopico crescendo di percezioni e pulsioni. La testa gli scoppiava, i suoi passi lungo le strade erano incerti; sino a quando il parossismo emotivo sfociò, liberandosi, nel ricordo illuminante del sogno avuto nel solaio due sere prima.

Non seppe comprendere il perché del fulmineo e inaspettato ricordo. Il giorno precedente si era sforzato in tutti i modi di ricordare; ma la sua mente era vuota, non scaturiva altro che il buio. Ora invece era lì; si stagliava nitido e fiero al centro della sua testa. Poteva osservarlo come meglio voleva; poteva analizzarne gli aspetti più disparati; cogliere le sfumature più evanescenti. Ma prima di tutto si chiese: perché in quel momento ? Quale era il legame con gli avvenimenti della serata ? Cosa mai poteva collegare la sua vita con un pazzo o un masochista?

Non riusciva a risolvere i suoi interrogativi; forse non voleva neppure giungere ad una risoluzione definitiva: aveva troppa paura di svelare verità inconfessabili a se stesso. Vagò confuso e assente per le vie di (***) , senza badare a quale fosse il tragitto. Tuttavia l'abitudine, fida guidatrice, lo spinse inconsapevolmente verso la stazione, dove giunse qualche minuto prima che il suo treno partisse. Dimenticò di munirsi del biglietto; e la sorte volle che in quella serata non passasse il controllore a destarlo dai suoi tribolosi pensieri.