Una lettera di Casanova

 

di Emanuele Vacchetto


Amica mia,

 qui, per qualche ora appena

 (lo so, fra poco un rumore sconosciuto

 verrà a forare questo tepore creduto

 fin qui perfetto) ho pace a sufficienza

 per pensarti finalmente, per lasciarti

 affiorare e osservarti. Un po' sorridere

 un poco indovinare. Non sapevamo allora

che poco nel mondo in fondo era cambiare.

   Così ci costa nulla (nel senso di fatica)

 colmare spazi tempi e le distanze. I silenzi

 sono quasi dovuti. La storia antica insegna

 di eroi che si giurarono restare

 per qualche tempo muti.,

 Si trovavano la sera all'osteria

 per bere, ruttare e regalarsi

 il piacere fastoso di tacere.

   Anche per dirti che un poco mi dispiace

 tu non divida questa mia serata (Venezia

 come al solito è stregata) e un poco questa pace.

   Perché al mondo non c'è così da fare,

 se non scambiarsi piccoli deliri, fingere,

 qualche volta di volare oppure dormire come ghiri,

 scrivere lettere in forma di poesia, fare barchette

 coi fogli del giornale, posarle sull'acqua,

 del Canal Grande che le porta via.

 Venezia, Novembre 1785
 
 


 WorkNet Service 1998 - Rubrica curata da Icaro 
 
 
 
 
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